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Teologia morale islamica

Ultimo Aggiornamento: 01/11/2008 09:28
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01/11/2008 09:28

Il musulmano ha il diritto-dovere di assolvere al jihād, l'impegno sulla strada di Dio, nella speranza di vedere nell'Aldilà il Suo Volto, che si esprime nella sua forma principale (detta maggiore) nella lotta contro le proprie pulsioni negative del corpo e dello spirito. Come jihād minore si intende invece la continua ricerca di espandere i confini fisici e spirituali della Umma. Combattere contro chi vi si oppone con forza può assumere forme violente.
Il jihād maggiore costituisce il sesto pilastro dalla scuola giuridica sunnita del Hanbalismo e dall'intero Sciismo.
Generico obbligo è il compiere il bene e combattere il male ovunque essi si trovino, ricorrendo a ogni mezzo lecito e necessario (con la mano, la parola, la penna o la spada), laddove il bene e il male sono determinati esplicitamente da Dio nel Corano, dovendosi intendere come bene la sua volontà e male il disobbedirgli.
Nessuna teologia naturale è ammessa, che possa far presumere all'intelligenza umana di penetrare razionalmente i confini tra il volere di Dio e il suo non volere, essendo la creatura umana tenuta ad assoggettarsi senza distinguo al dettato coranico. In senso letterale, la parola Islàm significa infatti sottomissione, abbandono o obbedienza a Dio. Abbandono a un progetto divino che concerne l'umanità intera e che l'uomo non può conoscere per la sua intrinseca limitatezza, al quale tuttavia esso si dovrà abbandonare, fiducioso della bontà e della misericordia divina.
Dio, al contrario di quanto pensavano i mutaziliti, non concede il libero arbitrio all'uomo, essendo ogni atto, compreso quello umano, creato da Dio. Egli dà all'uomo al massimo il possesso dell'atto compiuto e il presumere di poter creare qualcosa o di penetrare l'insondabile volontà divina sono peccati di massima superbia, con la conseguenza che il volere divino deve essere accettato senza condizione alcuna da parte delle creature.
Questo avviene non solo nelle pratiche di culto, ma anche nell'ottemperare alle precise e cogenti norme alimentari che, secondo lo schema antico-testamentario, non si giustificano con motivazioni di carattere razionale, in grado cioè di essere percepite dall'intelligenza umana, ma che devono essere accettate come tutto il resto senza chiedersi il come e il perché.




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