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Libertà religiosa negata in 60 stati

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2008 20:43
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15/11/2008 20:43

Sono più di sessanta le nazioni finite nella lista nera dell’Acs (Aiuto alla Chiesa che Soffre) per gravi violazioni del diritto alla li­bertà religiosa dei propri cittadini. Leggi repressive, pratiche discrimi­natorie, violenze di gruppi di fana­tici, tollerate se non addirittura in­coraggiate dalle autorità, conflitti lo­cali a connotati etnici disegnano un quadro mondiale davvero allar­mante, di cui i massacri di cristiani in India o la repressione dei mona­ci tibetani da parte del governo di
Pechino rappresentano, purtroppo, solo la punta dell’iceberg. La circo­stanziata denuncia della gravità del­la situazione mondiale è fotografa­ta, come ogni anno, dall’ottava edi­zione del 'Rapporto 2008 sulla li­bertà religiosa nel mondo', che è sta­to presentato ieri a Roma e – in con­temporanea – in Francia, Spagna e Germania ed è frutto di un intenso e approfondito la­voro di raccolta, sca­vo e verifica delle informazioni sui singoli Paesi.
Dal rapporto emer­ge con drammatica chiarezza che a una parte consistente degli abitanti della Terra non è consen­tito praticare in pub­blico o anche in pri­vato il proprio cre­do, di manifestarlo, di diffonderlo o anche di cambiarlo senza incorrere in vere persecuzioni che mettono a rischio anche l’incolumità persona­le e della propria famiglia. Il denso volume (quasi 600 pagine di docu­menti da cui sono tratte le schede di queste due pagine), pur essendo promosso da un’organizzazione cat­tolica, prende in esame le violenze compiute contro i fedeli di tutte le re­ligioni.
La questione è esaminata sotto vari aspetto: dal punto di vista della legi­slazione vigente (che limita parzial­mente o del tutto la libertà religiosa o che prevede discriminazioni per certe categorie di fedeli), dei com­portamenti pratici di governi, auto­rità locali e forze di polizia, delle mi­nacce che alla libertà di culto ven­gono portate dall’intolleranza di par­te della popolazione o da gruppi ter­roristici organizzati verso le mino­ranze religiose. Grande imputata sembra essere l’Asia. È nel Continente più grande che, dalla regione mediorientale a quella dell’Oriente estremo, si con­centrano per intensità e numero gli attentati più gravi alla libertà reli­giosa. Un capitolo consistente del dossier riguarda i Paesi che, in Asia come in Africa, hanno adottato la legge islamica come legge fonda­mentale dello Stato. Il caso dell’Arabia Saudita, moderata in po­litica estera quanto durissima nella politica interna, è particolarmente esemplare. Nella patria di Maomet- to, infatti, è impossibile qualsiasi pratica religiosa non musulmana, anche privata. E il possesso di sim­boli religiosi come un crocifisso o u­na Bibbia viene punito con durezza. Ai lavoratori stranieri presenti sul territorio arabo viene negata ogni ti­po di assistenza religiosa, anche per­ché si proibisce l’ingresso di mini­stri di altri culti. Sul rispetto di que­ste regole vigila un’inflessibile poli­zia religiosa, spesso autrice di abu­si, arresti sommari e torture. A farne le spese sono anche i musulmani non sunniti.
In altri Paesi islamici, come l’Afghanistan o l’Iran, invece, sono tollerate forme più o meno pubbli­che di altre confessioni (non tutte), ma è vietato il proselitismo, mentre i convertiti dall’Islam ad altre reli­gioni vengono accusati di apostasia e rischiano la condanna a morte, spesso inflitta da persone del loro stesso ambito familiare. Particolar­mente perseguitati sono in questi Paesi i culti islamici di minoranza, con­siderati non orto­dossi. Segnali di in­voluzione in senso integralista arrivano dal Pakistan e dall’Indonesia e dal­l’Eritrea. Mentre nell’Iraq liberato da Saddam si stanno verificando depor­tazioni e trasferi­menti coatti di fa­miglie cristiane, costrette ad abban­donare le proprie case.
Non sono solo i Paesi di religione i­slamica a creare problemi alla libertà di religione. In India si stanno svi­luppando forme di estremismo in­duista che sono sfociate in autenti­ci pogrom anticristiani, tollerati dal­le autorità locali, nonostante la con­danna del governo centrale.
Capitolo consistente quello della Ci­na.
Dove il governo teme una salda­tura tra il dissenso politico-sociale e i leader religiosi, con conseguenze destabilizzanti per la sopravvivenza del regime. Per questo motivo i mi­nistri delle religioni permesse (buddhismo, taoismo, islam, cri­stianesimo cattolico e protestante) vengono sottoposti a pesantissimi controlli. Spesso è il governo di Pe­chino a nominare i vescovi, senza il consenso della Santa Sede. I vesco­vi e i sacerdoti cattolici o i pastori protestanti che non aderiscono alle direttive governative vengono arre­stati e incarcerati. Di carattere poli­tico ma a sfondo religioso anche la repressione del movimento autono­mista tibetano, guidato dall’esilio dal Dalai Lama.
Un’altra categoria, infine, riguarda nazioni come l’Etiopia o le Filippi­ne
in cui vige ufficialmente la laicità di Stato e la libertà religiosa ma nel­le quali gli scontri tra gruppi etnici e religiosi (in queste nazioni non si contano le aggressioni islamiche contro i cristiani) impediscono nei fatti un libero esercizio del culto.
L’Asia il continente in cui sono concentrate le maggiori restrizioni ai culti: dall’Arabia Saudita alla Cina.




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