Nella parte centrale della sua prolusione, il card. Bagnasco ha poi parlato ampiamente di Eluana Englaro, “la ragazza lecchese che per 17 anni è vissuta in stato vegetativo persistente e che è stata fatta morire a Udine il 9 febbraio scorso”. Ha così descritto il suo caso come “un’operazione tesa ad affermare un «diritto» di libertà inedito quanto raccapricciante, il diritto a morire, cioè a darsi e a dare la morte in talune situazioni da definire”. Ha poi posto la domanda che deriva dal caso-Englaro: “Non stiamo attribuendo al «sistema» un diritto all’eliminazione dei soggetti inabili, quasi che costoro possano configurarsi come cittadini di serie B? E questo «diritto», che per ora si affaccia appena, una volta immesso nel corpus giuridico e nel costume pubblico, non è forse destinato a diventare col tempo più incalzante e spietato? E tale meccanismo non riguarderà anzitutto coloro che sono più deboli, bisognosi di assistenza e di premura da parte della collettività, perché segnati dalla vecchiaia o dalla malattia o dalla fragilità mentale?”. Il presidente della Cei ha invece affermato che “nelle moderne democrazie la vita va difesa perché è indispensabile limitare il potere biopolitico sia della scienza sia dello Stato” difendendo “i diritti umani di tutti”.
