00 14/05/2010 23:05
Nello scorso agosto su questo giornale si è denunciata l’irragionevolezza con cui il giudice amministrativo del Lazio, in una discussa sentenza, aveva affermato che i docenti di religione cattolica non avrebbero dovuto partecipare "a pieno titolo" agli scrutini, e che la frequenza al loro insegnamento non avrebbe dovuto influire sulla determinazione del credito scolastico. Quella sentenza è ora stata ribaltata dal Consiglio di Stato, che torna a mettere le cose a posto, affermando l’attribuibilità del credito scolastico a chi ha frequentato l’ora di religione e, quindi, la partecipazione a pieno titolo dei docenti di religione cattolica agli scrutini.

Perché il Consiglio di Stato ha ragione? È presto detto, visto che nella vigente normativa quello della religione cattolica è un insegnamento curricolare, in quanto è tenuto nell’orario scolastico, secondo programmi e libri di testo normativamente definiti, impartito da docenti di ruolo che hanno superato un pubblico concorso. Dunque, gli studenti che abbiano liberamente scelto di inserire tale insegnamento nel proprio piano di studi hanno non solo il dovere, ma anche il diritto di essere valutati. Ciò comporta, di conseguenza, che i crediti scolastici maturati non possano non essere riconosciuti. Se questo è il quadro normativo, il giudice non può che applicare le disposizioni vigenti, dato che l’articolo 101 della nostra Costituzione pone nella legge l’unica autorità cui i giudici sono soggetti.

Osserva Pierluigi Battista sul Corriere della Sera di ieri che le conclusioni cui giunge il Consiglio di Stato parrebbero potenzialmente lesive del principio di eguaglianza. Se questo fosse vero, il fatto sarebbe grave, perché quello di eguaglianza è un principio cardine del nostro ordinamento democratico e perché, per giunta, la Costituzione fa espresso divieto di discriminazioni per motivi religiosi. Ma la questione si pone davvero in questi termini? A me pare proprio di no.
Occorre ripetere ancora una volta che l’ora di religione non è catechesi, è un insegnamento con finalità culturali che si inserisce nel fascio di saperi diretti a far comprendere la complessità del reale e a decrittare la tradizione italiana. Perciò esso è aperto indiscriminatamente a tutti coloro che, senza paraocchi, vogliano avere una conoscenza più adeguata del patrimonio storico e culturale del nostro Paese, anche se, nel rispetto della libertà religiosa, è data a tutti la facoltà di sceglierlo o meno. E ciò in quanto l’insegnamento in questione propone ovviamente quello specifico sapere religioso che fa parte della nostra tradizione. Quindi, nessuna discriminazione d’ordine religioso.

Si deve poi notare che il principio di eguaglianza postula che si tratti allo stesso modo situazioni eguali, ma non situazioni diverse. E diversa è la situazione di chi, con libera scelta assicurata dalla legge, decide di non seguire l’ora di religione, quindi di impegnarsi meno a scuola, di non aggravare il proprio percorso di studio, di non sottoporsi a ulteriori controlli e valutazioni. Né in genere mancano nella scuola altre possibilità offerte allo studente per poter incrementare il proprio credito.
Se poi dal diritto si passa al merito, a me pare davvero singolare vedere nella scelta dell’insegnamento religioso la "gherminella" per migliorare la media: ciò offende la serietà e la dedizione di tutti i docenti, non solo di quelli di religione, nella valutazione globale delle capacità, dell’interesse, dell’impegno dello studente; in definitiva, ciò offende anche coloro i quali liberamente scelgono l’insegnamento in questione, perché comunque si sottopongono a maggior impegno e maggior studio.